Esule sulla terra, il vino cela echi del suo sommerso passato e con stizza concede a chi lo degusta i doni strappati al mare.
Il racconto
La piattaforma del Paguro viene inghiottita dal mare cinque decenni fa e, dopo un iniziale smarrimento, silenziosa incomincia la sua metamorfosi sottomarina, sfrontata si offre, diviene insperata dimora di forme di vita inattese.
Uno sguardo ardito da una prospettiva inconsueta ha visto nel reef artificiale una culla, un ventre accogliente e, ad una profondità di venticinque metri, quel mare dove tutto può accadere ospita e custodisce per dodici mesi il nostro vino, avviluppandolo in un’oscurità abissale e mantenendolo a temperatura costante.
Il vino della Tenuta del Paguro si abbandona a un oblio amniotico, nero.
L’estatica quiete si infrange, squarcia l’oscurità il baluginio di una bottiglia, che, riluttante, abbandona l’ebbro sonno.
Esule sulla terra, il vino cela echi del suo sommerso passato e con stizza concede a chi lo degusta i doni strappati al mare.
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